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Recensioni (Only Italian)

Domenico Defelice:

Una raccolta di versi, o di prosa? Tutti e due gli aspetti, diremmo. Abbiamo avuto il piacere di conoscere il giovane Carlo Trimarchi, di chiacchierare un po’ con lui e con lui anche discutere via e-mail su temi e aspetti presenti in questa silloge. In più: sulle pagine di Pomezia-Notizie gli abbiamo pubblicato qualche elaborato – presenti, in questa raccolta: "Aspettando", "Auguri mamma", "Muri di cemento", "Disperso"; espunta, invece, "La banda de cojoni" e non ne sappiamo il motivo, forse perché, per ben sei volte, vi appare, oltre che nel titolo, il termine efficace quanto schietto per indicare un gruppo di cretini. Noi, la poesia, l’avremmo accolta come specchio del suo carattere deciso e solare, che non si lascia irretire e abbindolare, e perché la voce è entrata ormai da tempo nel linguaggio corrente, colorita ed efficace per indicare l’irritazione, l’esasperazione e la voglia irrefrenabile di allontanare qualcuno, toglierselo dai piedi, perché persona imbecille, minchione, coglionazzo (Dizionario di Italiano, La Biblioteca di Repubblica). Carattere, quello di Carlo Trimarchi che, in fin dei conti, apprezziamo, perché è giusto che si rimanga rigidi e inossidabili finché non ci sia una vera e inconfutabile ragione a farlo mutare. Per adesso, egli è talmente sicuro del suo pensiero da non seguire consigli, come la nostra correzione di "per dirle" – il riferimento è a donna - al verso decimo di "Aspettando", al posto del "per dirgli", da lui confermato a pagina 26 di questa raccolta; o come "Ello" – inizio verso nono di "Muri di cemento", da noi corretto con "Egli", ma da lui confermato a pagina 23, con l’idea – come egli stesso afferma nella Nota introduttiva - che "Ello" e simili "sono lussi che l’autore (…) si possa concedere per aggiungere sfumature e suoni che rendano tutta l’opera più confortevole". "Purtroppo – egli ci confessava il 9 maggio 2016 – sono cocciuto, lo ammetto. Normalmente faccio le cose a modo mio, mettendoci cuore e anima, sperando che piacciano." "…la forma va curata, ed io non sono abbastanza disposto". Insomma, un libro casino - che, si sa, significa caos -, specchio, emblema del mondo specialmente attuale: "ed in mezzo a tutto sto casino ci sei tu – ci avverte il poeta -, che vieni sovrastato dalla folla e che vieni schiacciato dal peso dell’ignoranza" . Né ci son metri che egli rispetti e non sembra neppure che vada alla ricerca della rima; il suo essendo un ritmo cantante, spontaneo, da canzone leggera e di protesta, ma fluido, sciolto, orecchiabile, alla Fabrizio De André più che alla Bob Dylan. Già, la musica, che pur non avendo parole, più della parola parla e dice; "la musica ti capisce senza farti domande – scrive Trimarchi -, la musica non ha bisogno di niente, se non che tu chiuda gli occhi e la stia a sentire" . Tanti i temi e, a volte, mettono i brividi per la crudezza con la quale vengono raccontati. C’è, prima di tutti, l’amore, una vera sorpresa, perché narrato senza neppure una volgarità; c’è il miscuglio della lingua e del dialetto; c’è la solitudine in cui son costretti a vivere coloro che vogliono primeggiare, destinati a non avere mai alcuno che li affianchi nel loro difficile cammino; ci sono i fantasmi che assillano la nostra era tecnologica e che hanno "origine nella nostra mente" incapace a star dietro ai tanti e repentini cambiamenti; c’è il desiderio di un mondo che viva nell’onestà e nella chiarezza: un autentico sogno, ma è nel rincorrere una tale utopia che, pur sapendoli frutto solo dell’inconscio, il poeta guarda con ammirazione ai Titani ed ad altre figure del genere, "esseri perfetti" del mondo dei miti, della fantasia, della fantascienza, dei cartoni animati e dei fumetti, ai quali si richiamano molti degli elaborati; c’è l’incomprensione, c’è l’incomunicabilità, sebbene si viva, ormai tutti connessi, e ce la falsa libertà. Un libro che si apprezza solo se non si sta dietro alla grammatica, all’analisi logica, alla sintassi, alla metrica, alle tante regole che incatenano e imbrigliano. Se non è Futurismo – e non lo è -, un poco gli somiglia; Filippo Tommaso Marinetti, infatti, affermava che il poeta "ha il dovere di esprimere se stesso e di rappresentare la realtà come la vede e la sente, con tutta sincerità, con il calore ed il valore dell’anima sua". Trimarchi afferma che, a suo parere, "La poesia più importante", anzi la più "stupenda", sia "Le ombre nel buio". Sarà; il brano, però, che noi apprezziamo di più è "Aspettando", per intensità, pathos, ritmo, racconto e con un finale che può avere più sbocchi: una vera e propria canzone (se già non lo sia) e con tanto di ritornello ("È triste e non può farne a meno,/si è fatta male dopo ogni caduta".


Tito Cauchi:

Mi ha colpito favorevolmente che un autore così giovane, se considerato ai tempi d'oggi, come Carlo Trimarchi (romano nato nel 1997), mostri padronanza di scrittura talmente bene, da farsi leggere piacevolmente. La professione di informatico offre al Nostro una visione ampia e immediata della società su cui spaziare. Con questa sua raccolta di esordio, Un titolo qualunque, comprendente 74 poesie, dimostra capacità di affrontare temi impegnativi riuscendo nel contempo a divertire e a sperimentare percorsi diversi, per stili e contenuti, forse alla ricerca di una propria identità poetica. D'altronde, come spiega nell'introduzione, le poesie sono disposte nell'ordine cronologico di composizione dal 2014 a oggi, scritte "nell'arco della mia vita", con ciò mettendo l'accento sulla "vita", come se essa fosse stata vissuta intensamente, mostrando una maturità raggiunta impensata. Questo ha il sapore di un'auto indagine, di un filo di ricerca su se stesso, benché già ne conosca la risposta. L'Autore dichiara un iniziale atteggiamento pessimistico confermato dall'incipit (Le ombre nel buio): "un'ombra che vaga in cerca di qualcosa.... un'ombra che soffre e attende paziente, un mondo che diventa sempre più aggressivo e chiuso/l'ignoranza che sale.", dove volutamente al punto fermo non fa seguire la lettera maiuscola. E sempre su questo tono, seguono riflessioni esistenziali, tuttavia alleggerite poiché assicura: "non credo di volere proseguire il discorso.", tanto che spiega successivamente che "se alle persone non pesasse il culo, / userebbero il cervello per pensare a cose serie / invece di perdere tempo su Facebook." (Poesia 3). Carlo Trimarchi richiama insistentemente la necessità di essere chiari nella comunicazione per non fare la "figura del coglione". Possiamo dire che in successione, definisce "il momento è quella frazione di tempo," (Poesia 9); chiama in soccorso i "Titani", assicura che lui ci prova "Giorno dopo giorno, cerco una parola / a dire il vero non è una sola,". Ma ne rimane sconvolto, la soluzione gli sfugge dalle mani, dinanzi alla drammaticità della vita causata dall'uomo o da eventi naturali; perciò frappone sentimenti d'amore, ma pure essi si dissolvono di fronte alle incertezze, e solo l'affetto per la "Mamma" lo sostiene perché, come afferma nell'idioma nativo gli è rimasta sempre "nfonno ar core..." (Poesia 18). In una sorta di umana comprensione, abbraccia il Diverso, senza tuttavia, fare pesare il senso della sofferenza. Forse nemmeno lui ci crede, così che preferisce affidare il suo pensiero totalmente in inglese, non a tutti comprensibile (Poesia 23, Drawing the end). La mente, si sa, corre veloce, annulla tempi e distanze, decostruisce e ricostruisce a proprio desiderio, fin quando non si prenda consapevolezza delle proprie illusioni e poi riprende a sognare. Il Poeta dentro di sé tiene a freno i suoi "demoni", vuole cantare della vita degli altri. Così, dopo la prima metà del percorso poetico, aggiunge sapore in versione parzialmente romanesca, alla maniera del mordente Trilussa, con le frecciatine al Potere e al malcostume, per esempio nel "fammi grattare" (Poesia 43). Ma è molto tenero nell’abbandono ai sentimenti intimi, così: "Quando le mani tremano, / senti ogni battito del cuore, / i pensieri non si sentono. / Ecco, quello è amore." (Poesia 54). Ricorda il genitore per dirgli "ancora, ti voglio bene, papà." (Poesia 55); volge un pensiero ai caduti in guerra; eleva un inno all’arte nelle sue molteplici espressioni; e riesce a spogliare il tragico dei fatti di cronaca nera con toni leggeri. Carlo Trimarchi lo vediamo crescere sotto i nostri occhi attraverso la lettura. Usa frequente la ripetizione nelle diverse forme retoriche; a volte usa la rima (baciata, alternata, interna); generalmente scrive poesie di ampio respiro, metrica a organetto. Spiega: "Leggendo capirai, caro lettore, / che col passare del tempo, / v’è stata un’evoluzione. / Nella scrittura… In quella che sento." (Poesia 72, eponima). Così sperimenta la composizione geometrica con la forma piramidale di un albero (Poesia 69); e, congedandosi, compone un tautogramma, consistente in parole che iniziano tutte con la stessa lettera. In chiusura abbiamo pagine destinate a quattro indirizzi del web che invitano ad alcune sue riflessioni, basti prendere a caso un titolo qualunque.


Pina Ardita:

"L’uomo non poteva vivere senza la sua ombra" o per meglio dire: "l ‘uomo non può vivere senza la sua ombra". Dove ombra è un compendio di ricordi apparenti e inconsciamente nascosti nella coscienza che ancora non ha rivelato alla luce, della forse misera realtà umana, l’io con le sue incertezze, dubbi, tentazioni e anche speranze. Da questo inizio, la poesia del Trimarchi si snoda attraverso l’analisi del comportamento degli uomini, anzi delle ombre che essi lasciano e incorporano nella psiche durante la loro esistenza, senza riuscire a cogliere la verità dell’unità personale e collettiva. Dove l’ombra diviene condivisa regna il vuoto e la desolazione, ma se per un attimo l’uomo ha percezione di essa, proprio in quel momento inizia la sua resurrezione umana e sociale. L’idea dell’ombra è ripresa dal concetto del filosofo Yung che la considera il lato negativo della personalità, quindi rappresenterebbe tutti quei contenuti rimossi che vanno a costituire l’inconscio. Tutti hanno una loro ombra, se essa diventa conscia si riuscirà a correggerla. La poesia in questo caso è il mezzo per raggiungere lo scopo, per far sì che avvenga una catarsi personale e collettiva. "Nel buio…là dove l’occhio umano non è mai arrivato ha inizio tutto, e se in quel buio non può arrivare finirà tutto". Sembra di sentire l’insegnamento socratico "conosci te stesso", ma in questo caso in tutto ciò che è nascosto che stranamente non è fatto di buio, ma di luce perché solo la luce rivela. Quindi, la poesia del Trimarchi può essere catalogata come poesia filosofica a tendenza fortemente psicologia, nonché didattica. L’autore ricerca anche nella mitologia la perfezione, per esempio dei Titani, giganti di speranza, e nel confronto con essi l’uomo resta nel labirinto della sua finitudine: "un battito che ha dato inizio a tutto e… che ne porrà fine" se non si riesce ad evitare il frantumarsi dell’io. Se dobbiamo attribuire un colore alla poesia del Trimarchi questo è il grigio che deriva dall’alternarsi di un pessimismo umano e sociale… e anche l’amore non riesce a cambiare il colore della vita perché nell’amare l’altro resta sempre un’ombra per l’amante. L’Autore parlando dell’amore dice: "Ogni pirata lo chiama tesoro, ogni romantico ne fa un alloro… lo sguardo di una donna, gli occhi di un uomo, capaci di ammaliare, capace di pietrificare". Il viaggio umano nella "Selva oscura", richiamo a Dante, porta al frantumarsi della coscienza "e vidi che anch’io ero fatto di vetro"; allora resta, come per tanti poeti il sogno per potere volare negli emisferi irreali "dove regna la bellezza, la pace e la voluttà" avrebbe detto Baudelaire. Ciononostante, la realtà cattura e con essa bisogna dialogare, oltre che con se stessi, ma è un dialogo di sentimenti che fanno diventare il quotidiano un canto poetico. La ricerca stilistica nasconde anche una ricerca che abbraccia le più varie sensazioni perché quello che conta è svelarsi per potere aspirare all’eterno infinito ricomposto. Sicuramente una poesia non di facile lettura perché il lettore deve seguire il poeta nel suo intimo cammino, ma che riesce a catturare l’attenzione perché in essa si ritrova, come precedentemente detto, metafora dell’io collettivo.